Raymod Carver e il classico “Vado un attimo a comprare le sigarette”

Raymod Carver e il classico “Vado un attimo a comprare le sigarette”

Si esce e si chiude la porta
Senza pensarci. E quando ci si volta
A vedere quel che si è combinato
È troppo tardi. Se vi sembra
La storia di una vita, d’accordo

Raymond Carver, Orientarsi con le stelle

Nei versi di Raymond Carver quello di chiudere la porta è un gesto pulito e immediato, dalla tiepida familiarità di un’abitudine che si conosce fino in fondo, a cui si ricorre puntualmente nei momenti di spleen o disattenzione. L’elasticità, la facilità con cui si apre e si chiude diventa un modo come un altro per non legarsi, uno sbadato escamotage trimestrale per schivare l’abbandono.

Se vi sembra la storia di una vita, d’accordo.

Il defilarsi non ha quindi nulla di drammatico, anzi, è un colpo di testa quasi sbadato e risuona di un sottofondo intramontabile, tipo “Vado a comprare le sigarette”. Chiudere la porta è la digestione di una fine: ci si stanca, ci si arrende. È tutto sommato chirurgia perfezionata nel corso degli anni, si esce e si chiude la porta. Si smette di fumare.

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C’è la lucidità del latte versato nella poesia di Carver, il presentimento della coltellata del rimpianto, del cazzocazzo che assale la presa di coscienza dei caratteri impulsivi, quelli che non imparano, ma rinsaviscono solo dopo che il sangue è andato alla testa.

Max Ernst

Si chiude la porta, si dice al telefono qualcosa di triste:

Ti amai
come un uomo ama una donna che non tocca mai, a cui scrive,
le cui piccole fotografie conserva. Ti avrei
amata di più se fossi stato seduto in una stanzetta arrotolandomi una
sigaretta e ascoltandoti pisciare in bagno,
ma non è andata così

Poesia quasi d’amore, Bukowski

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E sistemandoci la coscienza, ci si dice che è sempre quel “quasi” a cui non siamo arrivati mai, e tutto sommato la dispersione dei decolli, la confusione -di ruoli, di bisogni, di obbiettivi- continuano a essere difetti incorreggibili.

Possiamo essere di nuovo più simpatici, più curiosi, più socievoli. Possiamo di nuovo sentirci liberi, poliamorosi e disordinati. Emotivamente felpati, mentre si ammazza il tempo (diciamo) ballando con tutti, fissando i soffitti, ballando da soli in mezzo a uno spettinato panorama enormemente vasto (devastato) da riempire con altro, tra altri, in sfocate ed entusiastiche foto di gruppo.

Possiamo ascoltare chi ci dice comunque ti vedo bene. Che tutto sommato arriva la bella stagione, e anche se ancora si sogna male (di contusioni e ritardi e non è che serva Freud per interpretare) ci saranno certamente nuovi entusiasmi, nuovi limoni. Nuovi pantaloni.

E quando ci si volta
A vedere quel che si è combinato

Forse si concede un attimo a quello che c’era di pulito, di buono, in mezzo a tutto il poco, il breve, l’insufficiente, che avevamo messo in gioco.

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