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VOIS è la startup che sta rivoluzionando il mondo dei podcast in Italia

VOIS startup

Vois e il magico mondo dei podcast in Italia

Palacongressi di Rimini, sabato pomeriggio. È il 78° giorno di agosto, che nel 2023 significa metà ottobre, e siamo appena usciti dal terzo giorno del Marketers World, una sorta di bombardamento incessante di stimoli e innovazioni del mondo digitale. 

Qualche anno fa sempre in questa cornice creata dalla famiglia Marketers avevamo avuto l’opportunità di incontrare personaggi dalle storie incredibili come Alex Bellini, esploratore a dir poco estremo e divulgatore ambientale, o Fabio Bin, co-founder di We Road. 

Quest’anno non è stato da meno e ci ha regalato 45 minuti di intervista intensissima a Francesco Tassi e Paolo Pacchiana, i fondatori di VOIS.fm, una Podcast Creators Company.

Ma che cos’è una “Podcast Creators Company”? 

Prima di incontrarli lo Googlo letteralmente e scopro la mission di VOIS.fm:

“Realizziamo contenuti audio e video podcast che lasciano un segno nelle persone. Vogliamo fermarci a riflettere prima di tutto su che impatto avrà quello che ascolterai. Per raggiungere questo scopo, facciamo e promuoviamo contenuti podcast di intrattenimento responsabile, insieme a creators che hanno a cuore la missione dei loro contenuti e clienti che hanno consapevolezza del loro impatto sul mondo.
Noi siamo VOIS. E anche tu quando ci ascolti sei VOIS. Insieme camminiamo responsabili verso il cambiamento.”

Evidentemente non è solo retorica, perché VOIS ad oggi ha superato i 3 milioni di ascolti mensili in Italia (circa il 15% degli ascolti totali) e distribuito tra i suoi creator oltre 300.000€ di ricavi. Non solo, il giorno prima della nostra intervista, Francesco e Paolo sono stati premiati anche come vincitori del Marketers Award Silver 2023. 

Ci raccontate com’è nata l’idea di VOIS.fm? Facciamo qualche passo indietro. 

Francesco: Nel 2017 anche solo la parola “podcast” non esisteva. Tendenzialmente noi avevamo questo rapporto con la radio che per l’epoca era la cosa più vicina al mondo dei podcast.

Francesco Tassi CEO VOIS
Francesco Tassi, CEO di VOIS.fm

All’epoca io ero in America e passavo in auto diverso tempo, quindi semplicemente mi rendevo conto che tra i vari canali della radio eravamo noi a cercare quello che ci interessasse in un mondo in cui invece ti arrivava anche la spesa a casa. No? E quindi diciamo, “cazzo, questa roba è paradossale! Ormai è possibile dover passare ancora ore/minuti a cercare, quando tutto è personalizzabile?”

E allora abbiamo trovato una soluzione che all’epoca era quella di utilizzare l’API di Spotify per la parte musicale, però ci mancava un pezzo, ci mancava il contenuto. All’epoca non sapevamo ancora che questo contenuto sarebbe chiamato “podcast”.

In sostanza quello che mancava erano storie per intrattenimento e divulgazione di vario tipo che noi andavamo letteralmente a prendere contattando la gente e inserendo le loro storie nell’APP.

Eppure, il 2017 pur sembrando ieri, era ancora un mondo troppo diverso dall’attuale e non pronto, almeno in Italia, ad accogliere una realtà così vasta come il mondo dei podcast di oggi.

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Ma tu Francesco eri in America, appunto, e com’era la tua vita prima? Facevi tutt’altro o lavoravi già nel settore?

Sì io facevo tutt’altro, ero (cioè, sono) ingegnere industriale.

(E qui si sprecano battute evergreen sugli ingegneri, ndr)

Però, ecco, ho sempre un po’ avuto il pallino di fare qualcosa di mio. Perché quel tipo di vita, nonostante l’avessi in qualche modo cercata e avessi faticato tanto per per ottenerla, non mi appagava per niente. Arrivavo a casa dagli eventi nel mio settore –  lavoravo in una grande multinazionale nel mondo del building – e mi mettevo su LinkedIn e invece di aggiungere il responsabile X del mio settore, io mi ricordavo solo delle storie assurde in cui ero incappato un po’ per caso nei giorni precedenti. E mi sono detto: “Possibile che non me ne freghi niente di quello che dovrebbe essere la mia vita futura e cerco solo gente e storie diverse?” 

E quindi? Lì ho iniziato a pensare di fare qualcosa d’altro. Con un mio amico programmatore, Gabriele, ho fondato un’agenzia web e abbiamo iniziato a partecipare a tanti startup weekend e, più in generale, ad orbitare nel mondo startup.

Da lì, startup weekend dopo startup weekend, abbiamo sviluppato la nostra idea alla vecchia maniera, cioè ci troviamo (letteralmente) nello scantinato, uno porta i gelati, l’altro le pizze, cose così. 

Va bè, se la startup nasce in uno scantinato o ancor meglio garage dovrebbe essere di buon auspicio, no? Un po’ come se io ti dicessi “Mela, garage”, tu a cosa penseresti? Apple, in un nanosecondo. Pensa a quando un domani diranno “Voce, scantinato” per intendere VOIS! 

Figata, magari! Cioè non è scontato che di un brand tu riesca a collegare il prequel del brand col brand stesso. Quanti ne conosci così?!

Comunque, dopo numerosi rifiuti, abbiamo trovato il modo di emergere grazie ad Apple, tra l’altro. Abbiamo avviato una startup nel mese di febbraio e da lì abbiamo iniziato a lavorare su questa idea, cercando investitori stranieri, ma andando in modo caotico, coinvolgendo le persone sbagliate nel modo sbagliato, facendo tutto ciò che poteva andare storto. Il nostro progetto non interessava a nessuno perché lo consideravano “troppo innovativo”. Lo so che oggi può sembrare paradossale, ma all’epoca c’era moltissima diffidenza.

Allora ciclicamente, circa una volta al mese, organizzavamo una sorta di piccola versione di questo startup weekend nei nostri ufficetti dell’epoca. Durante uno startup weekend, che è un format di Google Techstars, avevamo solo tre giorni per creare un prototipo. Lavoravamo anche di notte, in modo frenetico, e questa esperienza ci dava una carica e un’energia emotiva difficili da ritrovare nel mondo lavorativo normale. Poiché dovevamo concentrarci su tutto in un solo weekend con l’obiettivo di completare il prototipo entro la domenica, ogni volta facevamo progressi significativi.

Eppure, nonostante tutti i nostri sforzi non riuscivamo a fare breccia: nessun investitore era disposto a credere nel nostro progetto. Così, durante uno di questi weekend, abbiamo provato a fare una cosa diversa, a cambiare strategia. Eravamo circa sei o sette persone, tutti ancora senza stipendio. Abbiamo iniziato a pensare a cosa ci fosse stato di davvero innovativo nella storia recente. Allora abbiamo ripreso in mano l’iPod, uno degli oggetti più innovativi di sempre. Poi, ovviamente, è arrivato l’iPhone. Quindi, abbiamo preso tutto ciò che aveva a che fare con Steve Jobs e abbiamo cercato online tutti i suoi speech. Ricordo che sul pavimento c’erano solo fogli di appunti e frammenti sparsi, che abbiamo poi ricomposto da zero per creare un nuovo pitch. 

Hai letto la biografia di Steve Jobs, quella di Isaacson? Lì Isaacson racconta bene quanto per Jobs fosse proprio un’arte la comunicazione dei prodotti Apple. Ciò che mi colpisce è la loro attualità: ci pensavo mentre parlavi e mi sono resa conto che, nonostante l’iPod oggi non potrebbe più essere considerato innovativo, gli speech di Jobs restano un evergreen nel mondo del marketing! Quindi, geniale l’idea di riprenderli e studiarli, ora che per tutti noi sono alla portata di un click.

Esatto! E ci ha dato un boost incredibile! Grazie a quel nuovo pitch, infatti, abbiamo iniziato a ottenere attenzione dagli investitori, e siamo stati accettati nel primo acceleratore. Da lì in poi, con forse un po’ troppa fiducia, ho deciso di licenziarmi e tornare in Italia per lavorare a questo progetto. In quel momento, eravamo circa in dieci.

A quel punto facciamo application per un fondo d’investimento e va bene pure quello! Non potevamo crederci, quindi ci spostiamo a Milano e iniziamo questo percorso di accelerazione di 6 mesi. Iniziamo così a spingere il nostro progetto e abbiamo un’app che funziona tecnicamente e un team a disposizione, ma purtroppo il problema sono i contenuti. Perché? Perché in sostanza non ce n’erano. Zero assoluto. Era il 2017, sembra ieri, ma in realtà nel mondo dei podcast era la preistoria.

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Ah, per altro, momento Piero Angela: Apple torna ancora protagonista in questa storia. Sapete da dove deriva il termine “PODCAST”? Dalla combinazione di due parole: “iPod” e “broadcast”. È stato coniato nel 2004 da Ben Hammersley, un giornalista britannico, durante un articolo per il quotidiano britannico The Guardian.

(Noi, first reaction shock, ndr)

Quindi, in sostanza, per farla breve, nell’America del 2015 c’è la cosiddetta “second wave” dei podcast, crescono i numeri, tutti felici, la gente si licenzia alle radio per creare società di podcast, quindi tutti in hype. In compenso, in Italia stiamo ancora vivendo gli strascichi negativi della prima!  Quindi ogni volta che ti presentavi davanti a un investitore dicendo “Salve, noi facciamo podcast” la risposta tipicamente era: “Ma quelli che non hanno funzionato?!”

E come nelle favole andate male, finiscono i soldi, siamo nel 2019 e tutte le metriche sono in discesa. La gente si inizia a licenziare da 10 siamo in 8, poi 7, poi sei e io passavo le giornate con l’ansia di qualcuno che arrivato in ufficio mi dicesse “Fra, ti devo parlare” e pensavo subito che volesse darmi le dimissioni. 

E poi nulla, nel 2019 succede anche che vinciamo un bando per BMW, ma non riusciamo a concretizzare il progetto. Allo stesso tempo, però, è stato il momento della svolta perchè ci siamo chiesti: “Ma perchè non li produciamo noi i contenuti che ci mancano?”. Ed ecco che prende vita “Prime Svolte”, un podcast sulle prime volte che ci rendono umani, vivi, veri, grandi. Questo è stato un caso di tale successo che ancora oggi riceviamo richieste dagli studenti universitari che lo scelgono come argomento per la tesi di laurea.

Ed è qui che entra in gioco Paolo, giusto?

Paolo: Esatto, io ho conosciuto Francesco a un MeetUp di Marketers a Milano! In realtà ho conosciuto prima il suo socio, Gabriele, che mi ha raccontato il progetto dell’app e mi ha stregato perché sono sempre stato un nerd e i podcast un po’ li conoscevo. Mi piacevano le sfide, mi stavo laureando e avevo voglia di mettermi in gioco.

Paolo Pacchiana VOIS
Paolo Pacchiana, Co-Founder di VOIS

E quindi dal 2019 abbiamo iniziato a collaborare, in un periodo “nero” in cui tutti si licenziavano e i soldi erano finiti, effettivamente

Francesco: Sì, vi racconto questo aneddoto. Noi avevamo l’ufficio a Milano fino a dicembre. Avevamo letteralmente un mese di affitto, io non avevo più soldi, sia personalmente, sia la società. Poi ho detto vabbè, sai cosa? Io lo rifarei.

Da lì ho preso il mio cartone di pizza che avevo appena preso dall’egiziano sotto l’ufficio e l’unica cosa cui pensavo era che il giorno dopo c’era una Startup Weekend, che è stato il vero giro di boa! Vado lì il giorno dopo e incontro Alessio e Giulia di StartupGeek, che avevo conosciuto tramite intervista, parlo della mia situazione e mi fanno: “Ma sai che abbiamo appena conosciuto un ragazzo che ha appena fatto una Exit e potreste piacervi? Vi mettiamo in contatto.”

Flash forward: un mese e mezzo dopo abbiamo un nuovo investitore e 150.000 € con cui ripartire. Ah, e volete sapere una cosa incredibile? Il biglietto del treno per incontrare questo investitore a Roma me l’ha pagato mia madre!! A trent’anni, capito? A trent’anni non avevo più niente. E poi è ripartito tutto, ripartiamo a gennaio 2020.

Da lì è stata una rinascita. Siamo diventati una sorta di boutique di branded podcast praticamente. 

Paolo ha avuto l’idea – dobbiamo dire geniale – di cambiare il punto di vista, vedendo che insomma, questo mondo della creator economy stava iniziando ad avere sempre più spazio e questo significava che probabilmente là fuori c’erano molte più opportunità di quante noi non vedessimo in casa.

In sostanza, si trattava di un network di podcaster. Del resto, prima con Google poi con Youtube anni prima, il mondo dei creatori è un mondo che mi appartiene da vicino, quindi l’ho sempre guardato con molta passione. E ho pensato: “Siamo in un mercato nuovo e giovane. Ci sono pochi contenuti e quei pochi che ci sono sono di grandi editori, ma sicuramente arriveranno anche i singoli che vorranno esprimersi con questo mezzo! Prendiamo quelli che ci sono ora e costruiamo le nuove generazioni di podcast, quindi abbiamo fatto uno scouting di podcast che per noi erano interessanti che erano già presenti.”

Tra l’altro, questa intuizione importante è arrivata in concomitanza con la pandemia, corretto? Momento in cui naturalmente è esploso anche il mondo dei podcast, per ovvi motivi.

Esatto! Quindi in totale trasparenza abbiamo raccontato loro quello che volevamo fare, abbiamo costruito questo primo roster di creators e da lì abbiamo messo le basi per poi costruire quello che oggi è un asset fondamentale per noi, ovvero il nostro network. Lo gestiamo in toto su tutta la sfera di monetizzazione possibile per ciascun creator dalle pubblicità alle sponsorship e per alcuni, ad esempio per “Storie di Brand” di Max Corona, curiamo anche il management.

(Ascoltatelo, se vi capita, ndr!)

Ci date qualche metrica? Di quanti podcast stiamo parlando più o meno?

Oggi sono circa una trentina di creators che gestiamo e in totale parliamo più o meno di un centinaio di podcast che raggiungono ormai milioni di persone. Adesso siamo quasi a quattro milioni al mese di ascoltatori, ovvero il 15% del totale dei podcast in Italia.

In realtà il nostro posizionamento è quello della music label, cioè noi ci definiamo la Music label dei podcast, cioè applichiamo il modello delle etichette discografiche, quindi co-produzione e condivisione di asset come PR e marketing.

Ma alla fine perché avete scelto proprio il podcast? Qual è il fascino di questo strumento per voi?

In effetti ci piace proprio il mezzo. Forse perché siamo stati tra i primi fruitori, sicuramente. Poi perché ha delle caratteristiche che raramente si trovano in altri mezzi, un podcast è autentico. È come se fosse più difficile mentire nei podcast, cioè non come contenuto ovviamente, ma come contesto.

E se non fossero podcast, vista la vostra evoluzione costante, vi spaventerebbe cambiare “tavolo da gioco”? 

No, infatti. Cioè, lavorando nel digitale, le cose cambiano dall’oggi al domani. TikTok fino a due anni fa non era nulla e oggi ci passo 12 ore al giorno a guardare i video di gente a caso, quindi o ci si adatta al cambiamento o si cambia proprio gioco. 

E da qui mi ricollego allo speech di Paolo Bacchi, filmmaker di Marketers, al Marketers World di questa mattina: non avete paura ogni tanto della massa di contenuti? Cioè, di raggiungere, diciamo, una saturazione? Sia del tempo sia della capacità di attenzione degli utenti. 

Assolutamente sì. E in audio, tra l’altro, è ancora più evidente questa cosa, perché l’audio ha proprio una “discoverability problem” che il video soffre molto meno. Lato video, penso all’algoritmo di YouTube che funziona alla grande, mentre in audio non c’è ancora e probabilmente non ci sarà o non sarà così efficace. Noi abbiamo calcolato che per avere la stessa quantità di informazioni di contenuto audio rispetto a uno video, si impiega circa 20 volte il tempo necessario.

Perché ci sono diverse ragioni, ma banalmente tutti i metadati che noi abbiamo su qualcosa che stiamo per consumare in ambito video sono omogenei con il tipo di canale. Esempio: sono su YouTube, sto guardando un video, ho la mia barra di correlati, faccio scroll con il mouse, l’anteprima dura un secondo e io già ho imparato tantissime cose su quel video. 

Se io invece sto ascoltando un podcast, devo guardare una copertina e leggere un testo per capire quello che devo aspettarmi e i due gesti non sono sovrapponibili. 

Ecco però detto questo, per rispondere alla tua domanda, per noi è più un vantaggio che uno svantaggio avere una massa enorme di contenuti. Perché avere un ecosistema così grande di contenuti ti dà una serie di vantaggi incredibili, è come un grande palinsesto dove guardare quello che funziona, quello che non funziona, la capacità di testare e di mescolare le varie audience. 

Ultimissima domanda. Miglior decisione presa finora alla guida di una startup? 

Francesco: A livello di startup la mia risposta è il mio socio.

(violini in sottofondo)

Paolo, tocca a te, ma non vale dare la stessa risposta.

Paolo: Anche io sono molto legato a questo incontro, perché a livello di società, come si diceva oggi al Marketers World, comunque di errori ne facciamo e ne faremo sempre, quindi non c’è una decisione migliore che ci ha permesso di fare quello che facciamo ora: prima o poi ci saremmo arrivati comunque. E quindi non importa se oggi facciamo podcast e magari domani faremo software. Però lo faremo insieme e se io non fossi stato a quell’evento di Marketers, oggi non saremmo qui a raccontarvi la nostra avventura.




 

Per i coraggiosi che sono arrivati alla fine di questa lunghissssssima (e preziosa) intervista, consiglio sinceramente due podcast prodotti da VOIS:

  1.  A DOMANI, che racconta della scomparsa di Giacomo Sartori, un 29enne che nel 2021 decise di togliersi la vita nella campagne di Casorate Primo, in circostanze non del tutto chiarite. Il podcast, prodotto da VOIS e Niccolò Agliardi, in collaborazione con Il Corriere della Sera, è arrivato anche al primo posto nella classifica di Spotify dei podcast più ascoltati in Italia. Lo trovate qui.
  2. TRIBÙ, il podcast di Silvia Rossi, fondatrice del progetto editoriale I Trentenni, il punto di riferimento italiano per gli appassionati degli Anni 90. Silvia accompagna gli ascoltatori in un viaggio alla scoperta delle voci di chi gli anni ’90 li conosce molto bene, dei protagonisti che li hanno dominati a suon di musica, televisione, mode e costumi e di chi è nato in quegli anni e che ora ne subisce le influenze e il fascino. Lo trovate qui.

 

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