Tre manifesti a Ebbing, Missouri: non è tutto Coen ciò che luccica

Tre manifesti a Ebbing, Missouri: non è tutto Coen ciò che luccica

La rabbia e la vendetta non esplodono necessariamente in carneficine o scontri all’ultimo sangue; talvolta si estrinsecano in gesti e parole all’apparenza semplici, ma capaci di scatenare conseguenze importanti. Con Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Martin McDonagh colpisce forte e mette a nudo il cuore dell’America (e non solo), in una commedia che commedia non è.

La storia narra la tragedia personale di una madre in lotta contro tutti e tutto, dopo il brutale omicidio della figlia. La vicenda potrebbe essere ambientata ovunque, ma trae la propria forza proprio dalla ruralità del contesto. Ebbing è nel mezzo del nulla, in Missouri. Non ci sono città, solo qualche casa e qualche negozio; il bosco sul limitare dell’abitato; scarse comodità, la tv come una finestra sul mondo. Il razzismo è insito nella gente, per noia, per abitudine, forse perché non ci sono tante persone di colore come sulla ricca East Coast, manca l’abitudine. La violenza, verbale e fisica, diventa un mezzo comune per affermare la propria presenza ed esistenza nel mondo. Colpisce la forte atemporalità del luogo. Il film è ambientato ai giorni nostri, ma se togliamo qualche cellulare e l’accenno a google, potrebbe essere ambientato negli anni novanta (c’è pure un manifesto dei Nirvana) o anche prima, negli anni ottanta. La vita non sembra essere cambiata, neppure le mode, le macchine, i televisori. Tutto è come era, per sempre.

Martin McDonagh nasce come commediografo, e parla spesso di donne, di madri e figlie, nate in ambienti liminari per geografia o stato sociale, dove la violenza diventa l’unica maniera di comunicare. In Tre manifesti a Ebbing, Missouri, McDonagh è regista ed anche sceneggiatore e incanala la violenza per lo più nelle parole. La sceneggiatura è tesa, ritmata, sovrabbondante. Alcuni dialoghi sembrano raffiche di fucile, in cui è difficile isolare una singola battuta, tanto queste si accavallano. C’è anche spazio per alcuni momenti più lenti, soprattutto nell’ultima parte del film, senza che il ritmo ne risulti intaccato. Per molti versi, la scrittura ricorda le commedie grottesche dei Coen, per lo humor nero e la risata facile. Lo spirito americano, però, è a volte ammantato da una luce tragica tutta europea, soprattutto nella seconda metà, tanto da avermi ricordato, per certi versi, l’europeissimo La Promessa di Friedrich Dürrenmatt.

‘MMURRRICA
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La tragica commedia ruota tutta intorno a Frances McDormand, la mamma incazzata Mildred Hayes. Il suo personaggio è perfetto e bellissimo, a partire dalla tuta da lavoro che indossa, dai capelli, e dalle parole. La sua rabbia è democratica e senza eccezioni, colpisce tutti: le istituzioni, la chiesa, se stessa. Non ha una chiara intenzione lesiva, ma le capita di fare male, a volte per caso. Il suo gesto di porre tre enormi manifesti per attaccare lo sceriffo reo di non aver ancora catturato l’assassino di sua figlia è solo l’inizio: da lì in poi il film prosegue per apposizione di scene, volte a far vedere i rapporti fra i personaggi, più che a sviluppare una storia nel suo complesso. Suo contraltare ideale è lo sceriffo Bill Willoughby, interpretato da Woody Harrelson. E il loro rapporto è forse la cosa meglio riuscita del film. Nella guerra folle e sconsiderata che i due si fanno, si insinua la pietà, senza che questa ceda mai al pietismo. Si capisce l’altro, il suo dolore, ma questo non intacca la volontà ferrea della protagonista. Splendidamente disegnato è anche il personaggio dell’agente Dixon (Sam Rockwell), emblema dell’America, sovrappeso, ottusa, razzista ed armata, ma capace anche di un potenziale che si intravede nel finale.

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Fra questi personaggi i ruoli si mescolano e si alternano. Tutti diventano carnefici, tutti vittime. Anche il dolore di Mildred travalica i confini della legalità e diventa eccessivo e pericoloso. La redenzione (se esiste) è un lungo percorso, come quello che intraprendono Mildred e Dixon nelle scene finali (SPOILER: Missouri e Idaho non sono neppure confinanti). Un viaggio che inizia nel nome della violenza, come unica forma di comunicazione, come incapacità di esprimere i sentimenti, ma che prosegue nel dialogo. Forse.

Voto: 8/9

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