Chega de Saudade. La vita è l’arte dell’incontro

Chega de Saudade. La vita è l’arte dell’incontro

Chega De Saudade, Joao Gilberto

“Ero a pranzo, era l’una circa e ci trovavamo a Salvador. Era la fine del 1959, inizio degli anni ‘60, e mi trovavo con mia zia, mia nonna, mia sorella e tutti coloro che vivevano in quella casa. Avevo 17 anni circa e rimasi talmente impressionato che dopo 15/20 minuti di riflessione mi diressi verso un magazzino vicino casa per chiamare Radio Bahia: non avevamo il telefono in casa. Cercai nell’elenco telefonico e chiesi delle informazioni riguardo a quel pezzo passato in radio poco prima: Chega de Saudade.”

In casa avevo una chitarra di dubbia provenienza. Forse l’avevo già presa in mano una volta per guardarla (e per capire come mai fosse lì), ma appena terminata quella canzone anch’io ho sentito uno strano desiderio. L’idea che potessi riprodurre quel suono tanto semplice quanto complesso mi accendeva la mente.

Le parole di Gilberto Gil descrivono appassionatamente ciò che un po’ tutti abbiamo provato dopo aver ascoltato, sentito questa canzone per la prima volta: il bisogno di capirci qualcosa in più, in un gesto totalmente automatico. Del resto, la voce soave e delicata accompagnata da una melodia fuori dagli schemi ha suscitato grande curiosità e un’irresistibile attrazione in generazioni di ascoltatori.

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Durante certi periodi delle nostre vite (o perlomeno della mia) quella sensazione si ripresenta fortissima. Può essere definita attraverso una parola che per certi versi si può categorizzare come forestierismo, un costume che appartiene solamente al vocabolario di chi l’abbia vissuta veramente: la Saudade.

A questo sentimento, che non è di semplice nostalgia, si è tentato più volte di dare una definizione; numerose sono le basi di provenienza ma tutte implicano la stessa percezione. Pare che l’origine si possa attribuire al comune sentire delle mogli portoghesi del periodo del colonialismo (a partire dal XVI secolo) che si trovavano ad abbandonare i mariti che partivano per le Americhe, aggrappate alla speranza che i propri uomini sarebbero tornati ma anche con la certezza che non avrebbero mai rivisto il Portogallo.

C’è del mistico e del poetico a cui i carioca Antonio Carlos Jobim (compositore e musicista) per la parte musicale e Vinicius De Moraes (poeta e altre numerose maschere) per il testo, provano a dare la loro interpretazione artistica. Insieme giocano con armonie minimali e pulite, spezzando i ritmi canonici. I due si conobbero in un bar nell’estate del 1954 mentre lavoravano alla piéce teatrale Orfeu da Conceição, scritta dal poeta Moraes, e cercavano di renderla un’opera cinematografica (più tardi vinse l’Oscar, l’Orfeo Negro). A vida è arte do incontro.

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Il boss della Bossa Nova, Joao Gilberto

In principio il brano fu registrato da Elizete Cardoso per poi essere inserito nell’album del 1958. Solamente l’anno successivo, la canzone trovò il successo nella chitarra di João Gilberto, colui che si può definire come pioniere e creatore della Bossa Nova assieme agli altri due artisti citati: una branca del samba-canção, accostabile alla rinascita culturale ed economica del Brasile di Juscelino Kubitschek, ex presidente e fondatore di Brasilia nel 1964.

Paradossalmente – ma non troppo – si narra di una tristezza di cui non si può né vuole fare a meno; come di un amore puro dove le parole possono essere espresse attraverso degli abbracci. Tutti vogliamo essere felici. Tutti ricerchiamo la felicità, o almeno cerchiamo di avvicinarci il più possibile ad essa, ecco, ma senza il malessere non possiamo farcela. Questa leggerezza nell’anima contraddistingue un modo di vivere cui non tutti i popoli del mondo sono in grado di accedere: perciò quest’opera poteva essere concepita solamente in Brasile, Paese rappresentato da estremi paradossi e culla di mille culture.

L’emotività di João Gilberto è percepibile non semplicemente nella poesia del testo: c’è proprio un netto stacco melodico tra la prima e la seconda parte. Una volta presa coscienza dell’assenza di qualcosa, spontaneamente tutto appare più lucido. Una scalata che parte dal basso e ci porta a raggiungere la vetta dei nostri sentimenti: come la Saudade, le persone stesse possono farci scoppiare qualcosa dentro.

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Nota a margine, ma non secondaria: negli anni ’60 e ’70 molte composizioni brasiliane sono arrivate in Italia per essere reinterpretate spesso con molta allegria. In questo caso, Chega de Saudade ha visto protagonista la tigre di Cremona, Mina. Il testo fu adattato da Giorgio Calabresi, elemento storico della musica leggera italiana, che negli anni si occupò anche di altre traduzioni.

Francesco Galati

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