Bad Girl – per ballare da soli
Ci sono momenti in cui uno deve dare un colpo di reni alla quotidianità e scrollarsi di dosso pensieri tanto grigi, tipo che la nebbia sale agli irti colli o che l’estate fiesolana è un’utopia, e saranno recrudescenze adolescenziali, ma se scarseggia lo spazio per l’imprevisto, io mi dico che forse è meglio risvegliare l’adolescente fanatica che è in me. E’ il momento di trovare una canzone che mi faccia sentire epica, assoluta.
Parlo dell’effetto November Rain dei Guns n’ Roses, per capirci, parlo della catalisi dello struggimento e di regredire fino a ballare per casa, rischiando di spaccarsi i malleoli contro lo stipite della porta del bagno. Perché se stai rispolverando la verve dei sedici anni non sai tutelarti dalle persone e figuriamoci dalla mobilia inanimata.
Evidentemente non sono l’unica, perché nel suo corto Bad Girl, dall’omonimo brano blues di Lee Moses, il regista Arnaud Khayadjanian la prende come me: se non ci vuoi pensare, balla.
La sua scelta è quella di lasciare spazio alla musica: per 2 minuti, l’attrice Mathilde Roux si dimena in una stanza vuota dalle pareti arancioni con un paio di slip dalla scritta “Swag”. Tutto ciò che accompagna il suo ballare è la potenza della voce e della chitarra di Moses. Perché Bad Girl lo spazio lo riempie.
Notti in macchina ad alta velocità, superalcolici di contrabbando, Coca Cola e climi più sensuali di quello della piana. Lee Moses nasce ad Atlanta, il cuore nero della Georgia, nel 1941.
This is a song about a bad girl
Something that happened to me long time ago
Everybody was telling me how the little girl was running around
Brano trascinante e strumentalmente ricco (non per dire eh, ma l’unico album di Moses –Time and Place, 1971 – ha avuto come produttore Johnny Brantley, lo stesso di Jimi Hendrix), della protagonista non ci rimane nulla, a parte la sensazione che sia inaccessibile, lontana.
Il linguaggio del pezzo non è fatto di descrizioni puntuali e puntini sulle i: a interrompere il flusso dei pensieri non sono il testo essenziale e la situazione vagamente accennata, ma la melodia nostalgica e carica di dinamismo; se le parole descrivono una storia senza speranza, l’intensità del ritmo ha indiscutibilmente un sapore metallico di libertà. E le vibrazioni ruvide della voce fanno trapelare un’invincibile tristezza mista all’ammirazione tenera per l’inossidabile “bad girl”, una che francamente se ne infischia.
Come te che balli. Ah.
Love, don’t you treat me like a king,
But I’d never let her know
That I’d fallen in love with a wonderful woman
That’s good to me. (ha)
Quello che Moses ci dice di lei è racchiuso nell’essenza di due parole, così da lasciarci liberi di intuire tutto il resto: alzi la mano chi non è stata almeno una volta “una cattiva ragazza”, di quelle che fanno dire ai fratelli minori “lassa sta’ ”, che se ne vanno, o che hanno scelto di lasciarti andare, che partono e prendono il largo invece di vivere per sempre felici e contenti.
Quella difficile da inquadrare, che fondamentalmente non sei ancora riuscito a capire.
mama they call her bad girl all because she wanted to be free
but i’m in love with the little girl
and I believe that she loves me
Non è una canzone che parla alla testa (la testa Lee Moses l’ha persa e tu hai di nuovo sedici anni, di che stiamo a parlare), non è nemmeno una canzone da ascoltare seduti o da stare a pensarci troppo su. La necessità a cui risponde è quella di un ballo intimo, dolce e scatenato a cui abbandonarsi con armonia e tanto struggimento quando si ha voglia di lasciare dove sono gli scheletri del cambio di stagione. Quando basta lo spigolo assassino del bagno a ricreare il brivido, il pubblico adorante è un accessorio di cui si può fare tranquillamente a meno.