Mendel dei libri

Mendel dei libri

Il libro e il suo testo. Il testo sta nel libro, ma non è il libro. Talvolta ci si dimentica che il libro non è solo il testo che contiene. È un oggetto fisico; è (almeno in parte oggi) un parallelepipedo di carta, dotato di spessore, colore, odore. Un oggetto da sfogliare prima che da leggere. Un oggetto che, come molti altri, non sfugge al desiderio umano di studio, collezione, catalogazione. Pensando anche al prossimo Salone Internazionale del Libro di Torino, vorrei parlavi quindi di un libro che parla di amore assoluto per i libri in quanto oggetti, di bibliografia e di completa bibliomania. Il titolo è un piccolo classico della letteratura mitteleuropea, ma forse non ancora a tutti noto: Mendel dei libri (titolo originale: Buchmendel) di Stefan Zweig. Edito originariamente nel 1929 e pubblicato in Italia da Adelphi, Mendel dei libri è un raccontino di cinquanta pagine, ristretto ma intenso.

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Entrato per caso in un caffè della Vienna del primo dopoguerra, il narratore scopre di trovarsi nel vecchio Caffè Gluck, da lui frequentato in gioventù. E si ricorda che lì, in una stanza vicino alla cassa, era solito sedere da mattino a sera Jackob Mendel, il Mendel dei libri. Sebbene non fosse altro che un semplice rivendugliolo ebreo, Mendel era una raccolta bibliografica vivente e un «biblio-sauro di una razza ormai in estinzione». La sua memoria prodigiosa gli permetteva di ricordare tutti i dati bibliografici di una quantità sterminata di libri. Bastava scegliere un argomento – anche il più anodino – e Mendel sapeva stilarne la bibliografia completa, fornendo di ogni volume titolo, nome dell’autore, prezzo, descrizione di copertina e apparato iconografico e ubicazione all’interno delle biblioteche in cui era conservato. Passava le sue giornate seduto al solito tavolino del Caffè Gluck, dove in molti venivano per chiedergli un consulto bibliografico. Bibliofilo e bibliomane, Mendel non si accorgeva di nient’altro se non di quanto era scritto sulle pagine dei suoi libri. Ora però non è più lì. Dalla signora Sporschil, per anni custode della toilette del caffè, il narratore apprende la tragica fine di Mendel.

Immerso nel suo mondo di libri, allo scoppio della prima guerra mondiale, Mendel non si era accorto di nulla. Ebreo russo che mai aveva ottenuto la cittadinanza austriaca, il vecchio libraio aveva continuato beatamente a inviare lettere ai suoi corrispondenti in Francia e in Inghilterra, attirando su di sé le poco benevoli attenzioni della polizia austriaca. Era stato rinchiuso in un campo di internamento, per poi venire liberato dopo due anni. Tornato a Vienna, non era più lo stesso. Le vicende della guerra avevano annientato le sue capacità mnemoniche. Incapace a fare il proprio lavoro, distrutto fisicamente e psicologicamente, Mendel era stato scacciato dal nuovo proprietario del caffè. Senza nemmeno la possibilità di potersi sfamare, era morto di lì a breve, stroncato da una polmonite. Ciò che ironicamente rimane di lui è il libro che aveva lasciato sul suo tavolino quando era stato allontanato dal caffè. La vecchia signora Sporschil lo aveva conservato come un cimelio. Lo mostra al narratore, che subito riconosce il titolo: Bibliotheca Germanorum erotica et curiosa, compendio della letteratura piccante tedesca.

Circa metà di Mendel dei libri è dedicato alla descrizione del protagonista. In questo, la prosa di Zweig è davvero accattivante e icastica. Con metafore e similitudini sparse nel testo, talvolta suggerite da una sola parola, Zweig tratteggia l’immagine di questo bibliofilo eccezionale, rapito da un amore religioso e insieme sensuale per i libri al limite della follia. Mendel è innanzitutto un libraio e quindi il suo approccio ai libri è quello del bibliografo e del bibliologo. I libri non li legge alla ricerca del loro significato, del contenuto spirituale o narrativo. A Mendel non interessa granché il testo. Solo gli aspetti bibliografici e bibliologici sono importanti. Ama i libri nella loro fisicità. Per lui «poter tenere fra le mani un libro prezioso» significa «quel che per altri è l’incontro con una donna».

Quando gli viene sottoposto un esemplare raro o addirittura unico, mette in atto un rito tutto personale, che manifesta la sua devozione quasi religiosa e il suo legame sentimentale con il libro. Dopo avervi fatto scivolare sotto un foglio di carta, ne sfoglia con rispetto le pagine, ne aspira voluttuosamente l’odore, emette «ah» e «oh» stupiti e ammirati, sussulta inorridito davanti a pagine macchiate o rosicchiate dai tarli. Zweig instaura un parallelo costante tra la figura di Mendel libraio e quella di Mendel rabbino mancato. Scelte lessicali accurate rimandano continuamente ai campi semantici relativi all’ebraismo, alle sue pratiche e ai suoi simboli. Vestito di nero, cantilenando a bocca chiusa durante la lettura, Mendel legge i suoi cataloghi e i suoi libri come gli hanno insegnato a leggere alla scuola talmudica, salmodiando e dondolandosi. Legge come altri pregano. Abbandonato il culto di Yahweh, Mendel ha scelto di dedicarsi al rutilante politeismo dei libri.

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Amante – nel senso erotico del termine – e sacerdote dei libri, Mendel ha con essi un legame ai limiti della paranoia. La sublime concentrazione interiore che raggiunge nel rapporto con essi lo aliena dal rapporto con gli uomini, conducendolo infine a essere vittima delle crudeltà di una realtà esterna che non gli appartiene. Zweig dipinge un affascinante ritratto di bibliomane, di cui ci descrive l’attività di bibliografo e le pratiche di lettura. Esalta in questo modo ciò che è fonte del piacere dei sensi per ogni bibliofilo: quel blocchetto di fogli stampati e rilegati chiamato libro.

Francesco De Toni

Titolo | Mendel dei libri
Autore | Stefan Zweig
Editore | Adelphi
Anno | 2008 (prima edizione digitale: 2011)
Collana | Biblioteca minima

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