La mia casa è un acquario. Io sono un pesciolino rosso.
Tutto è ovattato, nell’acqua: nuoto, gioco, ballo, disegno, leggo, lavoro; ogni tanto mi metto sul tappetino per convincermi che da questa quarantena mi porterò dietro qualcosa di buono. Tipo mangiare meglio, fare più attività fisica, imparare a suonare uno strumento (ho comprato un ukulele giallo, che cazzo ci faccio con un ukulele giallo?), meditare. Come se stare chiusa in casa mi facesse sviluppare un’intelligenza ed una creatività superiori al mio livello “normale” (sì lo so, brutta parola, suona anche molto male).
I miei vicini ad esempio credono che il figlio stia per dire mamma o papà da un momento all’altro, e non vogliono perdersi la magia di questa cosa, porca puttana sudano quasi, e sperano che il decreto duri fino a maggio perché ad oggi ‘sto scricciolo di essere umano non ha chiamato né l’una, né l’altro genitore: e sono molesti, Dio se sono molesti. Io però sono ottimista, la risposta del cucciolo d’uomo arriverà, e se anche dal loro acquario si sentono i muratori che lavorano al piano di sotto, la sua prima parola non sarà né mamma, né papà.
Comunque dicevo che sono un pesciolino rosso. Da buon pesciolino ogni tanto esco dalla mia conchiglia preferita dell’acquario, incontro gli altri due pesciolini rimasti nell’acquario come me, abbiamo tutti la stessa faccia persa. Non la stiamo prendendo male, perché abbiamo avuto fortuna – siamo tra quelli che lavorano dall’acquario, almeno per ora; nelle pause dal lavoro apriamo la finestra, tiriamo fuori la testa, a pelo d’acqua, e ci fumiamo una sigaretta. Uno dei pesciolini che è con me aveva smesso di fumare, anni fa: era passato all’erba, ma bloccati nell’acquario, lo immaginerete anche voi, l’erba non si può reperire; non ci buttano nemmeno il mangime, dobbiamo uscire a comprarlo solo quando è necessario, mantenere le distanze, e poi tornare subito nell’acquario. Insomma ha ripreso a fumare. C’ho l’ansia, dice, poi smetto di nuovo.
Io però ora che ci penso, sono sempre stata un pesciolino rosso atipico, nel senso che il mio acquario mi piace, certo, ma ho sempre bramato l’aria, il sole, la primavera fuori dall’acquario – e poi diciamocelo, come pesciolino rosso sono un po’ una pippa: faccio fatica a respirare qui dentro, nell’acqua, con i suoni ovattati e le bolle, sempre con gli stessi pesciolini rossi. E siccome sono bloccata qui dentro, ultimamente resto sempre più di frequente nella mia conchiglia, e ho la testa piena di domande. E se mi abituassi all’acquario? E se questi suoni ovattati venissero registrati dal mio cervello come sicuri? E se smettessi di bramare aria? Di bramare un tocco, un abbraccio, il suono della risata di qualcuno che ti guarda mentre ti parla? Se mi abituassi a stare da sola?
Poi però qualcosa ha fatto crack nella mia testa. Ho pianto per mezza giornata, non ricordo quando, la scorsa settimana. Ho pianto perché ho realizzato che mi mancavano le cose più stupide.
Bologna di notte, la birretta in piazza Santo Stefano mentre ripeto guardando le finestre delle case ecco, io vorrei vivere qui ininterrottamente; guardare la gente che si incontra sotto le torri e sorridere, perché 3 anni fa quando sono arrivata era l’unico posto in cui davo appuntamento per non perdermi; prendere il treno per tornare giù e trovare mio padre in stazione a Pescara nemmeno avessi 15 anni, che mi prende la valigia, mentre mi chiede se ho visto l’ultima partita del Milan, e se mi va di uscire più tardi con i miei amici, così possiamo vedere la prossima insieme, visto che rimango tutto il weekend. Cantare Mina con mia madre, tutte e due stonate da fare schifo, mentre mi racconta delle lettere d’amore che le scriveva papà quando non erano ancora fidanzati, quando lui fingeva di esserle amico perché lei era fidanzata con un altro, e le portava i suoi libri preferiti da farle leggere come scusa per vederla.
Stare a Lanciano davanti ad uno dei forse tre bar che ci sono con i miei amici, per fare le 4 senza alcun motivo (adesso però andiamo via prima, non abbiamo più il fisico – o non ce l’abbiamo mai avuto). Perdere un polmone per correre dietro a mia nipote; mia sorella, ché sono 15 anni che mi sente parlare ogni volta del tipo che mi piace, e ogni volta mi passa il caffè e mi dice Madonna, ma te li trovi tutti tu. Questo cosa suona?. Urlare nell’orecchio di mio nonno, che non sente un cazzo, ma dall’alto dei suoi 94 anni sa tutto di tutti e da 94 anni si fa rigorosamente i cazzi suoi. Vederlo ridere ogni volta che valigia alla mano lo saluto, e gli dico oh chiamami se ti fanno incazzare, ché ti vengo a prendere e ti porto a Bologna. E lui tutte le volte risponde perché, ho il telefono io?.
Cose così.
Poi ho pianto più forte perché mi sentivo stupida ed egoista, perché non merito di lamentarmi, la devo prendere bene, mi è andata abbastanza bene. E ho iniziato a sentirmi in colpa, perché non posso permettermi di sentirmi in questa maniera solo perché devo stare un po’ a casa. Mi è andata abbastanza bene. MI È ANDATA ABBASTANZA BENE. La strizzacervelli me lo chiede sempre: Manuela, ma lei perché si sente sempre in colpa, e non pensa mai di meritare nulla? Ogni tanto mi verrebbe da dirle Dottoressa, se lo sapessi non verrei qui ogni cazzo di settimana.
E alla fine ho realizzato che voglio restare un pesciolino atipico, fuori dall’acquario, fuori dall’acqua. Non voglio abituarmi a questo, devo solo conviverci, pensando a chi e cosa mi aspetta, ogni volta che mi serve.
La mia casa è un acquario. Io sono un pesciolino rosso con la memoria di un elefante. Aspetto di poter rompere il vetro, e di respirare fottutamente bene.
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