Giorgio Montanini: il tempo dei “musicifici” sta scadendo

Giorgio Montanini: il tempo dei “musicifici” sta scadendo

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Forse c’è ancora qualcuno che non conosce Giorgio Montanini, marchigiano di Fermo, punta di diamante della stand-up comedy di casa nostra.
La sua biografia televisiva, tanto per farvi capire il personaggio, è fatta di collaborazioni con alcuni dei programmi più in vista del palinsesto (Ballarò, Le Iene…) terminate in fretta e furia per non destabilizzare troppo il pubblico benpensante dei nostri salotti Poltrone e Sofà, semplicemente troppo abituato alla comicità sterile e priva di contenuti che ha dominato la scena italiana dal secondo dopoguerra a pochi anni fa.

Nemico giurato del politically correct (e di Enrico Brignano), la comicità di Giorgio Montanini si ribella a quel “ridere per ridere” che ha fatto la fortuna di Zelig e Colorado per dar vita a monologhi taglienti, eccessivi, dissacranti.

La domanda sorge spontanea: ma cosa c’entra un comico con la musica?
In realtà, la chiacchierata con Giorgio mi ha restituito una speranza sul futuro del mondo musicale che pensavo di aver perso per sempre.
Leggere per credere.

Giorgio, partiamo da una domanda semplice per rompere il ghiaccio: com’è il tuo rapporto con la musica? Cosa ascolti, cosa ti piace?
Io a 5 anni imitavo i Clash e Bruce Springsteen, mi travestivano da rockstar a casa.
A quell’età ascoltavo i Clash, appunto, poi i Deep Purple, Dire Straits, Pink Floyd, Guccini, De Andrè, Claudio Lolli, la PFM…
Poi negli anni 2000 non so quanti concerti avrò visto, tutti di musica italiana… 99 Posse, Quintorigo, Daniele Silvestri, Caparezza, Max Gazzè.

Mai suonato qualche strumento?
C’ho provato una volta, mi sono accorto dopo una settimana che stavo facendo gli accordi al contrario sulla chitarra… una settimana c’ho messo a capirlo. Non sono proprio fatto per suonare.
Però ascoltarla è fondamentale, per me. Mi ha accompagnato in tante tappe cruciali della mia vita.
Oggi invece non so che cosa sia successo alla musica, forse siamo al punto in cui era la comicità 10 anni fa ma non trovo nulla che mi appassioni davvero, non so cosa sia successo.

Mi interessa tracciare un parallelo tra la comicità e la musica in Italia. Penso al tuo Ted Talk e al tuo monologo sulle tribute band.
Pensi che la comicità “alla Brignano” sia espressione della stessa necessità di non pensare che porta il pubblico a riempire i concerti delle tribute band lasciando vuoti i concerti delle band emergenti?

C’è in comune la componente di intrattenimento “leggero” ma la tribute band è anche peggio. Perchè c’è la totale assenza di creatività e c’è zero rispetto per l’arte. Un conto è quando hai 16 anni, ma usare la musica per fare il figo venerdì e sabato quando poi fai il commercialista è una metastasi del capitalismo.
Sono i tuoi 10 minuti di visibilità che in realtà non provengono da meriti artistici, cento anni fa non accadeva.

Tu parli di approccio “dopolavorista” alle forme d’arte come prodotto del capitalismo: l’impiegato che si racconta di avere qualcosa da dire per dimenticarsi di quanto è triste la sua vita dalle 9 alle 18…
Penso che sia il marketing del capitalismo: per farti resistere deve darti sfoghi alla vita standardizzata e omologata, così non soffochi e trovi un barlume di speranza.

Però c’è anche quello che torna a casa e sta davanti a Rai 1 tutta la sera, non è meglio almeno dedicarsi a qualcosa di pseudo-artistico?
No, è peggio. I peggiori esempi del capitalismo secondo me sono quei posti come la Scandinavia, popoli comprati con salari alti e servizi impeccabili e così nessuno riflette più davvero sul suo status nella società. La Svezia è comprata dal capitalismo, è un paese morto.
Preferisco il fermento sotterraneo italiano.

Ma osservando lo stesso fenomeno dal lato del pubblico, invece, cosa ti viene da pensare?
Alla base sembra esserci la stessa necessità. Vado a vedere Brignano perchè non mi fa pensare a niente. Vado a vedere la cover band di Ligabue perchè non mi richiede sforzi intellettuali.
Però poi c’è un risvolto che distingue le due.
Se vado a vedere la cover band di Ligabue c’è la consapevolezza che sto guardando un’imitazione, un prodotto di scarsa qualità intrinseca. Nessuno ti dirà “è paragonabile all’artista che imita”.
Anche sulla musica inedita, a te può piacere Calcutta e non c’è niente di male ma non potrai mai venirmi a dire che ha la stessa caratura artistica di De Andrè. Ti può piacere Nilla Pizzi, ma i Beatles sono artisticamente su un altro livello.
Stessa cosa nel cinema, ancora di più nella letteratura. Certo, ti può piacere Fabio Volo, ma non sosterrai mai che è meglio di Sepulveda o Dostoevskij.
In Brignano c’è invece un inganno culturale, cioè la gente pensa che Brignano e Montanini siano “gusti diversi” ma di pari qualità. E invece non è così, oggi la comicità è un’altra cosa. Ti può piacere Alvaro Vitali, ma devi essere oggettivo nel valutarne la qualità rispetto alla comicità attuale. Brignano oggi è come Nilla Pizzi, è fuori tempo. Punto.



Torniamo alla musica per un attimo, invece.
Ieri fare un disco costava tantissimo e dovevi convincere un discografico entrando in un sistema che non era sempre meritocratico, ma rappresentava una sorta di filtro qualità. Oggi bastano un portatile e youtube e sei parte dell’offerta.
Secondo te l’assenza di barriere all’entrata nel mondo discografico è una concausa dell’abbassamento della qualità media?

Oggi nella musica siamo dove eravamo 10 anni fa nella comicità, come dicevo.
C’erano i “comicifici”, Zelig che faceva 12 milioni di ascolti, oggi sono rimasti Pintus e Brignano e perdono terreno ogni giorno. Zelig ha chiuso, ovunque nascono nuovi progetti di Stand Up Comedy.
La musica paga lo stesso prezzo, XFactor, The Voice, i “musicifici” stanno abbassando la qualità ma qui c’è una notizia buona, adesso arriva la speranza.
Hitler e Goebbels hanno bruciato i libri e non ce l’hanno fatta a fermare l’arte e la cultura. L’arte è implacabile, immarcescible, inalienabile. L’arte puoi rallentarla, puoi farle avere momenti bui, ma alla fine riemerge, rifiorisce.
In Italia il berlusconismo -che per me parte dagli yuppie degli anni 80 con l’orologio sul polsino- ha fatto credere a un paese operaio e rurale di poter vivere il sogno americano. Ma noi non siamo così, è un sogno finto che ha disintegrato la cultura a suon di tette, culi, calcio e beni di consumo.
La comicità ha dimostrato che è una bolla speculativa, puoi mettere la qualità sottocoperta ma poi esplode. Con la standup comedy in Italia siamo arrivati 50 anni dopo, ma adesso è partita, c’è. I teatri sono pieni per i nuovi comici, della vecchia scuola sono rimasti in 5 e prima erano centinaia, oggi non lavorano più. Sono morti. Tutti fanno standup comedy e le nuove generazioni conoscono Bill Hicks, conoscono me. Non Brignano. 

E tu nella musica vedi la stessa parabola…
Certo! Finirà.
XFactor, The Voice, la gente si romperà i coglioni e tornerà a suonare nei locali, nei club.
Prima Zelig e Colorado, oggi XFactor e The Voice. Finirà allo stesso modo.
Non è una mia invenzione, è la storia che mi fa pensare così. Le tendenze si invertono, la qualità nell’arte emerge sempre.

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E nel frattempo, secondo te, cosa dovrebbero fare quelli che fanno musica con qualità e qualcosa da dire?
Io nel 2012 ho rinunciato a Colorado per Satiriasi, un programma che all’inizio faceva 50 spettatori. Ma ero certo che avrebbe pagato, non mi interessava farmi un nome e diventare famoso dentro una barca che stava per affondare.
A volte era desolante, a fare spettacoli nei locali che puzzano di piscio anche rimettendoci economicamente, ma non mi sono arreso perchè sapevo cosa sarebbe successo. Se mi fossi arreso sarebbe arrivato qualcuno al posto mio, la direzione era chiara.
Bisogna resistere, fare ciò in cui credi fino alla morte e farlo al 100%. Se speri di diventare Mick Jagger dando il 30% non ci riuscirai mai.
Bisogna dare il 110% e tenere botta, non farsi trascinare nel baratro.

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